Ombretta Favino, "Il visibile e l’immagine"

dal 4 all'8 gennaio 2014

La meraviglia del visibile

Pio Meledandri
Direttore Museo della Fotografia del Politecnico di Bari

Ombretta Favino si cimenta nella rappresentazione del suo visibile in un percorso attraverso il paesaggio, quasi sempre orizzontale, lontano dalla Fotografia degli anni '80, che pure cercava un rapporto nuovo e dialettico nell'analisi delle mutazioni del territorio, e ci propone reali fantasie di un mondo vagamente onirico, psicanalitico, fantasmatico e visibilmente sonoro.
Distante tuttavia dal puro esercizio scolastico sull'uso sapiente del digitale, l'autrice va oltre lo sguardo intimistico e contemplativo del viandante Petrarca e come R. Misrach "non riesce e non può sottrarsi alla meraviglia del visibile, traboccante di una stupefacente policromia'.
"Secondo M. Merleau-Ponty, in Cézanne, il colore non è più circoscrivibile ai contorni di un disegno, di una forma preordinata. È esso stesso disegno, forma, struttura".
Ombretta Favino, che ha romanticamente interpretato Parigi utilizzando i codici del bianco nero, ne "Il visibile e l'immagine" esplora le infinite sfumature di cromie che diventano struttura delle sue immagini, senza lasciarsi sedurre dall'invadenza del fotoritocco digitale; al contrario, con la sua visione, vuole preservare dalla contaminazione delle tecnologie contemporanee uno spazio bellissimo dove approdare e farsi incantare dalle magie cromatiche, o impaurire dal rumore di soffici passi sulla neve o dal soffio leggero di svolazzanti Elfi.
"L'.informatizzazione dello spazio ne minaccia oggi l'esistenza, non tanto perché comporta la crisi della visibilità, ma perché la diffusione del computer tende a ridurre il mondo intero a sterminato campo della predicibilità''.
La Favino ha la capacità di guardare un paesaggio e contemporaneamente di inventarlo con la macchina fotografica, mettendo a frutto un'immaginazione che, come scriveva Baudelaire, "scompone tutta la creazione e, con i materiali raccolti e disposti secondo regole di cui non si può trovare l'origine se non nel più profondo dell'anima, crea un mondo nuovo, produce la sensazione del nuovo".
Ed è proprio la sperimentazione dell'imprevedibile, di un'estetica fuzzy, che affascina la bionda fotografa pugliese. È il mezzo fotografico a "liberare" l'autrice dalla compressione del quotidiano verso paesaggi sperimentali, definiti nell'ambiguità del movimento e dalla "profondità" del bidimensionale.
È la fenomenologia di un mondo sempre al di là del precisamente percettibile l'icona del suo sogno segreto, o di un inconscio appena tradito dalla rivelazione impudica dell'intimo.
Ombretta è una fotografa che vuole, nell'architettura del suo stilema, definire una sintassi solida e di riferimento. Insomma, un'artista da seguire con attenzione nelle sue evoluzioni in itinere.

Bari, marzo 2013

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